07/10/08

"How low can you go?"

Sulla carta, sembrerebbe l’ennesimo termine decodificabile solo dagli addetti ai lavori più maniacali. Sottogenere di sottogenere, ulteriore sfaccettatura di un mondo musicale assai vasto che nel Regno Unito chiamano urban, e che dagli anni ’90 in qua ha riunito con discreta approssimazione tutti gli incontri fra elettronica e musica nera. Dubstep, somma algebrica di dub e 2-step: sulla carta, quanto di più tecnico non si potrebbe. Di fatto, qualcosa che pare invece destinato a durare, ben oltre la soglia di attenzione ridotta che ogni nuovo fenomeno simile ottiene di solito oltremanica, e ad esercitare un’eco ben più potente. Non fosse altro che per un motivo: stavolta non ci si riferisce a una nicchia ristretta all’inverosimile, ma la parola è piuttosto un ombrello per qualcosa di altrimenti poco definibile, in costante mutamento, unito da un sentire comune più che da codici musicali rigorosi. E annuncia il suono elettronico più fresco del momento, attualissimo nel coniugare passato e futuro, mente e corpo, straniamento e calore umano. (continua in edicola)

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