19/12/07

4. KALABRESE Rumpelzirkus (Stattmusik)


"Quando io dico Africa, voi dite future".

Club To Club, edizione 2007. Entro nel locale a concerto già iniziato, e lo trovo in cima al palco che tenta di organizzare un botta e risposta con il pubblico. Pubblico che in larga parte lo scopre stasera, ma che ha già capito che può fidarsi del tipo al microfono e della strana band molto poco clubber-chic che lo accompagna: un italo-svizzero dai tratti maghrebini, che si alterna fra il trombone e quella percussione africana che si mette sotto l'ascella e si suona con un'asticella lunga e curva come un punto interrogativo; un bassista capellone vestito casual a dir poco; un pelato altrettanto casual che tiene a bada computer e macchinari assortiti. Da lì in poi è un crescendo, e Sacha Winkler in arte Kalabrese diventa la sorpresa del festival.
O la conferma, per chi come il sottoscritto gode delle gioie di brani come Auf dem hof ormai da tempo. Dalla fine del 2004 per la precisione, quando il furgone della band in cui allora suonavo il basso e cantavo posteggiò davanti allo Zükunft, nei dintorni della Langstrasse, quartiere cosiddetto "a luci rosse" di Zurigo.
Uno dei ragazzi che ci aiutò a scaricare era proprio Sacha, che aveva appena suonato a Torino (piccolo il mondo) e che di lì a poco avrebbe fatto uscire il suo nuovo 12" H
ühnerfest. Disco che mentre montiamo il palco comincia a suonare dall'impianto, e quello che ne esce è uno dei miei pezzi preferiti degli ultimi anni. Auf dem hof, appunto: dieci minuti paradisiaci, un treno funky-disco-house irresistibile con basso e fiati suonati dal vivo, e il nostro che cavalca il ritmo un po' recitando e un po' cantando, come un James Murphy molto molto molto stonato. Roba che in qualunque situazione la suoni (e da allora l'ho suonata in tantissime situazioni diverse) viene sempre almeno uno a chiedere di che si tratta.
Sul resto della nostra notte allo
Zükunft, sul dj set di Sacha e del suo compare Crowdpleaser che seguì il concerto, sull'irruzione nel backstage dell'autorevole e lievemente eccessivo König der Langstrasse, sulle offerte di donne e sostanze ricevute da parte di non ben identificati personaggi, sul secondo concerto a Zurigo organizzato in meno di 48 ore e su molte altre cose i ricordi sono più o meno nitidi, ma parlano chiaro alcune foto (inclusa quella che opportunamente ritagliata appare ogni mese in cima al mio privé su Rumore, dove sembro una via di mezzo fra lo Studio 54 e i Weathermen, che peraltro come est e ovest non sono malaccio...).
Sul resto dell'album di Kalabrese (Auf dem hof chiaramente c'è, e non ha perso un millimetro di smalto) diremo che si tratta di un lavoro tanto immediato e coinvolgente quanto maturo, elaborato, ricco. L'opera di un talento che da esordi più canonicamente minimal-techno, anche se già abbastanza personali, ha saputo crescere fino alla dance brillante e libera di questo Rumpelzirkus. Che consolida uno stile inconfondibile (morbido e insistente, ipnotico, quasi sussurrato, amicale, mai velocissimo) in bombe come Oisi Zuekunft (dub-house con micidiale pezzo in dialetto zurighese), Not the Same Shoes (con Kate Wax a duettare), Deep (tutto nel titolo...), Lose My Chair (puro Kalabrese al 100%). E già se ne allontana in tante direzioni diverse con numeri come Aufm klo (già su quel 12" anche lei, a dire il vero, e già allora vicina a una versione pomeridiana di cose come Closer Musik/Matias Aguayo), Hide (sorta di LCD Soundsystem alle Baleari), Heartbreak Hotel (notturna e solenne, fatta di ritmo scarno, chitarra acustica e voci). Fino ad una degna conclusione sognante su ritmi prima sostenuti (Hafenlied) e quindi più rilassati (Body Tight).
Quando io dico Kalabrese, voi dite future.

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