25/11/02

114. Nico “Chelsea Girl” 1966. (cd usato, Polygram, € 10.00).
Questa, signori, è una mezza delusione. Mezza, perché in realtà un po’ avrei dovuto aspettarmelo. Adoro i Velvet Underground come ogni altro e più, ma non ho mai considerato Nico tutta questa benedizione scesa in terra. Che fosse un corpo estraneo al gruppo, una mossa del pigmalione Warhol, è evidente. Che non fosse la più grande cantante mai apparsa sulla faccia della terra, idem. Che non fosse nemmeno questa bellezza abbacinante, di nuovo idem (se il gusto non è un’opinione e le coppie non si formano per puro caso, il fatto che abbia avuto un figlio da Alain Delon dovrebbe dirla lunga).
Nei pezzi del disco con la banana dove canta, però, il gioco funzionava. Il suo impresentabile accento tedesco e la sua espressività monocorde si sposavano bene con l’inquietudine della banda Reed/Cale/Morrison/Tucker, sia nelle ballate tenui sia nelle litanie noise. E i pezzi, alla fin fine, erano solo tre. Senza i Velvet e quello che rappresentavano, restano l’impresentabile accento tedesco e l’espressività monocorde. Per questo esordio da solista scrivono per lei -e bene- autori come Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e un giovane Jackson Browne, si rileggono brani di Bob Dylan e Tim Hardin, le basi sono fatte di chitarre perlopiù acustiche e archi, ma quello che detto così suona affascinante spesso purtroppo non lo è. E gli otto minuti di “It Was A Pleasure Then”, sorta di nenia velvettiana con viola, più che rivoluzionari sembrano soltanto interminabili.
Ma come ho detto, non sono mai stato il primo fan della chanteuse tedesca. Se voi invece lo siete, “Chelsea Girl” vi piacerà assai.

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